Mi pare persuasivo e sufficiente l'insieme di prove fornite per dimostrare l'infondatezza della spiegazione darwiniana-evoluzionistica-casualistica-selettiva dell'origine e diversità delle specie nonché dell'asserita, ma non dimostrata, evoluzione (trasformazione migliorativa) delle medesime.
Da tale dimostrazione risulta che non abbiamo una spiegazione per quanto sopra, soprattutto per l'origine delle molte specie viventi.
Ma non l'abbiamo nemmeno per l'origine della vita, del DNA, delle proteine: la questione rimane aperta.
Rimane aperta anche una questione più profonda, a monte, quella dell'origine dei diversi elementi chimici. E, più a monte ancora, quella sull'origine delle diverse particelle subatomiche.


Questa catena di domande, che porta al quesito centrale della filosofia greca, cioè quello circa le cause-origine delle cose (tà onta) in generale, arriva alla sua formulazione più radicale e generale possibile, ontologica, con Leibniz, in questi termini: "Perché c'è qualcosa anziché il nulla?"

L'esistenza di qualcosa, cioè della totalità dell'esistente (di me, quantomeno: cogito ergo sum) è constatabile, non è dubbia. Ma può avere una spiegazione, cioè si può dimostrare che sia necessitata da un qualcosa? Certo non da un qualcos'altro, da un qualcosa fuori di quel medesimo qualcosa, perché questo qualcosa esterno esisterebbe, quindi farebbe parte dell'esistente, quindi anche di esso si porrebbe il medesimo quesito: perché questo qualcosa bis c'è? Certo nemmeno attraverso l'argomento ontologico anselmiano (Deus est ens cujus essentiam implicat existentiam), che confonde il piano della coerenza logica col piano ontologico, come smascherato da Kant con l'argomento dei 100 talleri).

La risposta va cercata risalendo a monte della domanda di Leibniz: è logicamente possibile, ha senso logico, o è auto-contraddittorio il quesito (non già se un ente determinato possa sia esistere che non esistere, ma) se possa non esserci un'esistenza, un esistente, in assoluto (überhaupt, at all). Questa domanda presuppone surrettiziamente l'assunzione implicita, inespressa, che vi sia - che esista - che possa esistere - una condizione di indifferenza, di "libertà", precedente il bivio ontologico tra l'esistere dell'esistere e il non esistere, il niente-esistere - precedente, nel senso che, in essa condizione, almeno in senso logico, "ancora" il bivio sia "davanti", ancora non sia stata imboccata la strada dell'esistere dell'esistere (che sappiamo che è stata imboccata, perché qualcosa esiste senza dubbio).
Ma dire che quella possibilità, quella "libertà", quello stesso bivio tra esistere dell'esistere e non esistere, esistevano, o sono esistiti, realizza una contraddizione in adjecto perché appunto presuppone il già esistere dell'esistere überhaupt (infatti quel dire afferma l'esistere di quella possibilità, di quella condizione anteriore) . Quindi la domanda è errata, si toglie da sé. Il fatto stesso che qualcosa esiste si pone come punto di partenza, cominciamento ontologico, e non lascia spazio per l'alternativa predetta.

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